Le origini del cenobio trevigiano di San Teonisto - così come
delineate da Luigi Pesce nella sua importante opera La chiesa di Treviso nel primo Quattrocento - sono legate a doppia
mandata a quelle del monastero benedettino di Santa Maria di Mogliano, romitorio
fondato nel 996 da alcuni monaci provenienti probabilmente da Venezia. Passato
alle monache benedettine nel 1075, il monastero moglianese vide via via
accrescere le sue proprietà e la sua potenza tanto che appena cinque anni dopo
le monache moglianesi poterono impegnarsi nella costruzione del monastero
trevigiano, luogo in cui erano poi solite trascorrere dei periodi di riposo o
trovare riparo in caso di guerra.
Sia il cenobio trevigiano che quello moglianese non erano edifici di
grandi dimensioni visto l’esiguo numero di monache che ospitavano. Alla fine
del ‘300 infatti nel monastero di Santa Maria di Mogliano si contavano appena 4
religiose mentre in quello di San Teonisto non più di 7.
A inizio Quattrocento, a seguito di qualche scandalo consumato tra le
mura del cenobio e a un cattivo rapporto che le monache avevano con la comunità
locale di Mogliano, il vescovo decise di destituire la badessa Felice d’Arpo e
ordinò che le benedettine fossero trasferite nel monastero di San Teonisto al
fine di poter esercitare con maggior cura il suo controllo. I provvedimenti del
vescovo non ebbero però seguito e solo l’arrivo dell’esercito degli Ungheri,
guidato dal terribile Pippo Spano, convinse le benedettine a lasciare il loro
cenobio per trovare riparo entro le mura cittadine. Questa “capitolazione” non
fu priva di conseguenze visto che le monache, pur di avere un luogo sicuro dove
vivere, furono costrette ad accettare la riforma del cenobio moglianese del
1412-1413 che imponeva loro, oltre al trasferimento a Treviso, anche la
clausura stretta.
Considerata la loro nuova condizione claustrale, le benedettine nel
1431 ottennero che la parrocchia di San Teonisto venisse soppressa e la chiesa
servisse solo a loro uso.
E’ da presupporre che in questi anni il complesso di San Teonisto sia
stato oggetto di lavori di adeguamento al nuovo stato di cenobio “principale”
delle benedettine moglianesi.
L’occasione di questo scritto però non è tanto quello di ripercorrere
l’intera evoluzione costruttiva del complesso monasteriale di San Teonisto,
cosa che richiede assai più tempo e una ricerca documentaria più organica, ma
piuttosto focalizzare l’attenzione su alcune maestranze che nel 1571 furono
impegnate nella costruzione dei granai e della caneva del monastero, ossia
un’intera ala del chiostro composta da due piani, con solaio alla sansovina e
copertura, due scale d’accesso, 24 finestre, due porte grandi a doppia battuta
e due piccole.
La parziale trascrizione di documenti che Gustavo Bampo fa nel suo Spoglio notarile, non solo svela i nomi
delle maestranze impegnate nella costruzione di ambienti tanto importanti per
un monastero, ma riesce anche a tratteggiare uno spaccato di vita di cantiere a
fine Cinquecento, descrivendo le metodologie d’intervento e l’economia con cui furono
realizzate le opere.
Si inizia con i lavori di muratura,
affidati a Giacomo da Lodi e Gio. Pietro figlio di
Angelo che così convennero con la
Abbadessa e le monache di San Teonisto:
“... che detti murari debbano a
sue spese fare le fondamenta della fabbrica nova di detto monaterio qui in
Treviso qual sarà per adesso caneva et granai; per l’opera delle quali
fondamenta essa Reverenda Abbadessa, et madonne Monache del detto Monasterio
habbiano a dar loro per ogni passa quattro, ducato uno da L. 6 s. 4 l’uno,
dichiarando che dette fondamenta, la qual va tolte sopra volti fondati su
pilastri di palli si habbia da misurar nel modo infrascritto cioè dalla imposta
de i volti in giù compreso il pilastro di palli si habbia da misurar solamente
il pilastro d’intorno via. Ei dichiarando similmente che quando haveranno da
fondar puramente in acqua, dove bisogneranno doppie palificate, si habbia da
far un altro mercato. Che dalla fondamenta in su veramente gli altri muri si
sono accordati di pagare a ragion di passa quattro et mezzo il ducato ut supra,
li quali muri et fondamenta nel smisurare si debbano ritirare tutti in misura
di una sola piera: et perchè in questa prima fabrica, che si ha da cominciare
vi va un volto a fascia sopra una caneva sono rimasti d’accordo di pagar esso
volto a ragion di L. quattro il passo il qual volto si debba misurare sopra il
suolo a drittura, et non d’intorno i sesti. Et così il volto come i muri si
dichiara, che siano finiti del tutto, cioè smaltati, et bianchizzadi così
dentro, come fuori, et specialmente che il volto sia aggualivato di sopra si
che non manchi cosa alcuna a farli et suolo di sopra che buttarvi il terrazzo.
Del coverto poi, il quale va intavellato sono accordati di pagarne ogni passa
sei al ducato, misurando insieme il tavellato et il coperto di coppi
unitamente. Che detta Reverenda Abbadessa et madonne Monache debbano dare alli
detti murari oltra a sopradetti pagamenti botte mezza di vino per conto di
questa prima fabrica e di caneve et biavari. Che detti murari siano obligati
perseverar nella detta opera fino alla fine et usar ogni diligenza in farla,
che sia bene.”
Poi fu la volta del fabbro Giuseppe figlio di Bartolomeo de’ Bonis, a cui vennero affidate le
opere di ferramente così descritte:
“Che esso maestro Iseppo debba
far et lavorar tutte le ferramenta, che anderanno nella fabbrica del
Monasterio, che esse Reverende Madonne Monache hanno da fabbricar agli
infrascripti precij, ponendo esso m. Iseppo il ferro del suo.
I lavori grossi, come arpesi,
ferriade, non intendendo di quelle a mandola, et lame a L. 26 il cento.
I lavori mezzani, come guerzi,
bertovelle, occhietti, chiavette, arpesi, et capozzuoli, schione intorte, non
includendo in questi guerzi a fibbia, ne similmente alcuna sorte di lavori
stagnati, overo limati, ne bertovelle a nosella, a L. 31 il cento.
Che dei lavori sottili videlicet di tutti i lavori che anderanno
limati, et stagnati star si debba all’arbitro et liquidatione di M. Francesco
Sugana del q. Sp. M. Bartolomeo et M. Antonio Gaudino, i quali giudicar debbano
quanto essi lavori si doveranno prezzare; ....”.
Ai fabrilegnari (marangoni e carpentieri)
spettò il compito di costruire il coperto, il solaio e le scale, in questo
modo:
“presente Jacobo de Lodi murario,
et magistro Jo Pietro filio m. Angelis dicti Rizzi similiter murario, testimone
mag. Sebastiano q. Joannis de Asylo, et cum mag. Sebastiano filio Antonij
Gasparoni de Caerano fabrislignarij Tarvisij, presentibus.
.... Il solaro, nel quale vi
anderanno orlati da scalon n. 54 col solaro di tavole alla sansovina.
Il coverto con 6 cadene, le quali
oltre il colmo tre biscontheri per parte di mezze chiave di otto (?), sopra le
quali vanno le pozze, porte et finestre delle quali porte due grandi una va
doppia, et due altre piccole, et le finestre n. 25 delle quali fenestre 17
haveranno i suoi teleri da ramade, et tutte così porte, come fenestre vanno
riquadrate; li quali tutti lavori vanno squadrati, et piagnati si del solaro,
come del coverto.
Et di tutti essi lavori fatti al
modo come di sopra essa Reverenda Abbadessa, et Madonne Monache dar debbono
alli detti Maestri per lor mercede ducati 46 a L. 6 s. 4 per ducato.
Le due scale una che va nel primo biaver sopra la caneva, l’altra da
quel primo nel secondo; et di quelle haver debbono per lor mercede L. 14 de
piccoli.”
E infine
intervennero i lapicidi Francesco Graziolo di Asolo e Bartolomeo suo figlio:
“ ... Marcado fatto con M.
Fransesco Gratioli tagliapietra da Asolo delli lavori che vanno nella fabrica
del Monastero di San Theonisto, et primo: Le piane delle fenestre larghe piede
1 et grosse once 4 alla misura trevisana a soldi 2 il piè con un intavolato
sopra: le quali essendo circa n. 80 et lunghe circa piedi 3 ½ manterranno soldi
7 l’una in tutto L. 28
Base della colonna L.
4
Capitello L.
4
Base della pilastrata L.
4
Imposta del pilastro L.
6
Controimposta L.
2
Architrave della colonna L.3
Cornise della istessa L.
7
In tutto per ciascuna colonna L.
30
Le quali essendo colonne n. 36
vogliono L. 1080
Ma bisogna scemare (?) m. 4 per
le quattro che vanno negli angoli, nelle quali entra minor lavoro, onde resta L. 1052
Cornise fra le colonne grosse
oncie 5 larghe oncie 12 nella quale va inconata la gorna a soldi 8 il pie in
tutto piedi 160 L. 64
Gola dell’architrave fra le
colonne piedi n. 180 va grossa oncie 3 a soldi 4 il piede L. 36
Porte principali del chiostro n.
4 per ciascuna secondo la sagoma L. 20 in tutto L.
80
Banchete o lastoline fra i
pilastri nel chiostro n. 36 a
soldi 12 l’una con lavoro del bastone, et d’un gradeto sotto in tutto L. 21,12
Vale
in tutto L.
1281:12
Con patto che, aggiungendosi
qualche cosa si debba crescer la mercede, et anche quando si scemerà qualche
cosa di lavoro si debba scemare la mercede.
Annotando che le piane et le
lastoline si intende fatto il mercato essendo elle segate: perchè quando non
fossero segate, et spianate vi anderia maggior spesa assai nel lavorarle.”
E poi viene trascritta
l’intera fornitura dei materiali, dalla pietra grezza proveniente dalle cave
vicentine, e fatte transitare per il territorio padovano, al legname acquistato
direttamente in Cadore per un totale di 200 ducati.
I lavori si protrassero fino al 1576, ma solo dieci anni dopo si poté
considerare conclusa la causa per il pagamento dell’intero ammontare dei lavori
svolti.
Spesso ci si dimentica che dietro agli edifici che oggi ammiriamo ci
sono delle storie, degli uomini sconosciuti che con sapiente maestria sono
riusciti a costruire opere che sono durate nel tempo. A volte si tratta di vite
semplici, degli invisibili ma assai più spesso a costruire gli edifici erano
persone che avevano una certa importanza e considerazione nella società, tant’è
che venivano citati nei documenti notarili. È solo che si è persa la memoria di
queste persone che con un po’ di pazienza e passione potrebbero rivivere
assieme alla loro maestria nell’apparecchiare una muratura, nel costruire
porte, finestre e solai o nell’intagliare cornici in pietra di porte e finestre
o delle scale.
Silvia Rizzato
Silvia Rizzato


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