Spogli notarili dal Bambo e altre notizie

venerdì 27 gennaio 2017

Mureri, marangoni e lapicidi nel cantiere di San Teonisto di Treviso



Le origini del cenobio trevigiano di San Teonisto - così come delineate da Luigi Pesce nella sua importante opera La chiesa di Treviso nel primo Quattrocento - sono legate a doppia mandata a quelle del monastero benedettino di Santa Maria di Mogliano, romitorio fondato nel 996 da alcuni monaci provenienti probabilmente da Venezia. Passato alle monache benedettine nel 1075, il monastero moglianese vide via via accrescere le sue proprietà e la sua potenza tanto che appena cinque anni dopo le monache moglianesi poterono impegnarsi nella costruzione del monastero trevigiano, luogo in cui erano poi solite trascorrere dei periodi di riposo o trovare riparo in caso di guerra.
Sia il cenobio trevigiano che quello moglianese non erano edifici di grandi dimensioni visto l’esiguo numero di monache che ospitavano. Alla fine del ‘300 infatti nel monastero di Santa Maria di Mogliano si contavano appena 4 religiose mentre in quello di San Teonisto non più di 7.
A inizio Quattrocento, a seguito di qualche scandalo consumato tra le mura del cenobio e a un cattivo rapporto che le monache avevano con la comunità locale di Mogliano, il vescovo decise di destituire la badessa Felice d’Arpo e ordinò che le benedettine fossero trasferite nel monastero di San Teonisto al fine di poter esercitare con maggior cura il suo controllo. I provvedimenti del vescovo non ebbero però seguito e solo l’arrivo dell’esercito degli Ungheri, guidato dal terribile Pippo Spano, convinse le benedettine a lasciare il loro cenobio per trovare riparo entro le mura cittadine. Questa “capitolazione” non fu priva di conseguenze visto che le monache, pur di avere un luogo sicuro dove vivere, furono costrette ad accettare la riforma del cenobio moglianese del 1412-1413 che imponeva loro, oltre al trasferimento a Treviso, anche la clausura stretta.
Considerata la loro nuova condizione claustrale, le benedettine nel 1431 ottennero che la parrocchia di San Teonisto venisse soppressa e la chiesa servisse solo a loro uso.
E’ da presupporre che in questi anni il complesso di San Teonisto sia stato oggetto di lavori di adeguamento al nuovo stato di cenobio “principale” delle benedettine moglianesi.
L’occasione di questo scritto però non è tanto quello di ripercorrere l’intera evoluzione costruttiva del complesso monasteriale di San Teonisto, cosa che richiede assai più tempo e una ricerca documentaria più organica, ma piuttosto focalizzare l’attenzione su alcune maestranze che nel 1571 furono impegnate nella costruzione dei granai e della caneva del monastero, ossia un’intera ala del chiostro composta da due piani, con solaio alla sansovina e copertura, due scale d’accesso, 24 finestre, due porte grandi a doppia battuta e due piccole.
La parziale trascrizione di documenti che Gustavo Bampo fa nel suo Spoglio notarile, non solo svela i nomi delle maestranze impegnate nella costruzione di ambienti tanto importanti per un monastero, ma riesce anche a tratteggiare uno spaccato di vita di cantiere a fine Cinquecento, descrivendo le metodologie d’intervento e l’economia con cui furono realizzate le opere.
Si inizia con i lavori di muratura, affidati a Giacomo da Lodi e Gio. Pietro figlio di Angelo che così convennero con la Abbadessa e le monache di San Teonisto:
“... che detti murari debbano a sue spese fare le fondamenta della fabbrica nova di detto monaterio qui in Treviso qual sarà per adesso caneva et granai; per l’opera delle quali fondamenta essa Reverenda Abbadessa, et madonne Monache del detto Monasterio habbiano a dar loro per ogni passa quattro, ducato uno da L. 6 s. 4 l’uno, dichiarando che dette fondamenta, la qual va tolte sopra volti fondati su pilastri di palli si habbia da misurar nel modo infrascritto cioè dalla imposta de i volti in giù compreso il pilastro di palli si habbia da misurar solamente il pilastro d’intorno via. Ei dichiarando similmente che quando haveranno da fondar puramente in acqua, dove bisogneranno doppie palificate, si habbia da far un altro mercato. Che dalla fondamenta in su veramente gli altri muri si sono accordati di pagare a ragion di passa quattro et mezzo il ducato ut supra, li quali muri et fondamenta nel smisurare si debbano ritirare tutti in misura di una sola piera: et perchè in questa prima fabrica, che si ha da cominciare vi va un volto a fascia sopra una caneva sono rimasti d’accordo di pagar esso volto a ragion di L. quattro il passo il qual volto si debba misurare sopra il suolo a drittura, et non d’intorno i sesti. Et così il volto come i muri si dichiara, che siano finiti del tutto, cioè smaltati, et bianchizzadi così dentro, come fuori, et specialmente che il volto sia aggualivato di sopra si che non manchi cosa alcuna a farli et suolo di sopra che buttarvi il terrazzo. Del coverto poi, il quale va intavellato sono accordati di pagarne ogni passa sei al ducato, misurando insieme il tavellato et il coperto di coppi unitamente. Che detta Reverenda Abbadessa et madonne Monache debbano dare alli detti murari oltra a sopradetti pagamenti botte mezza di vino per conto di questa prima fabrica e di caneve et biavari. Che detti murari siano obligati perseverar nella detta opera fino alla fine et usar ogni diligenza in farla, che sia bene.”
Poi fu la volta del fabbro Giuseppe figlio di Bartolomeo de’ Bonis, a cui vennero affidate le opere di ferramente così descritte:
“Che esso maestro Iseppo debba far et lavorar tutte le ferramenta, che anderanno nella fabbrica del Monasterio, che esse Reverende Madonne Monache hanno da fabbricar agli infrascripti precij, ponendo esso m. Iseppo il ferro del suo.
I lavori grossi, come arpesi, ferriade, non intendendo di quelle a mandola, et lame a L. 26 il cento.
I lavori mezzani, come guerzi, bertovelle, occhietti, chiavette, arpesi, et capozzuoli, schione intorte, non includendo in questi guerzi a fibbia, ne similmente alcuna sorte di lavori stagnati, overo limati, ne bertovelle a nosella, a L. 31 il cento.
Che dei lavori sottili videlicet di tutti i lavori che anderanno limati, et stagnati star si debba all’arbitro et liquidatione di M. Francesco Sugana del q. Sp. M. Bartolomeo et M. Antonio Gaudino, i quali giudicar debbano quanto essi lavori si doveranno prezzare; ....”.
Ai fabrilegnari (marangoni e carpentieri) spettò il compito di costruire il coperto, il solaio e le scale, in questo modo:
“presente Jacobo de Lodi murario, et magistro Jo Pietro filio m. Angelis dicti Rizzi similiter murario, testimone mag. Sebastiano q. Joannis de Asylo, et cum mag. Sebastiano filio Antonij Gasparoni de Caerano fabrislignarij Tarvisij, presentibus.
.... Il solaro, nel quale vi anderanno orlati da scalon n. 54 col solaro di tavole alla sansovina.
Il coverto con 6 cadene, le quali oltre il colmo tre biscontheri per parte di mezze chiave di otto (?), sopra le quali vanno le pozze, porte et finestre delle quali porte due grandi una va doppia, et due altre piccole, et le finestre n. 25 delle quali fenestre 17 haveranno i suoi teleri da ramade, et tutte così porte, come fenestre vanno riquadrate; li quali tutti lavori vanno squadrati, et piagnati si del solaro, come del coverto.
Et di tutti essi lavori fatti al modo come di sopra essa Reverenda Abbadessa, et Madonne Monache dar debbono alli detti Maestri per lor mercede ducati 46 a L. 6 s. 4 per ducato.
Le due scale una che va nel primo biaver sopra la caneva, l’altra da quel primo nel secondo; et di quelle haver debbono per lor mercede L. 14 de piccoli.”
E infine intervennero i lapicidi Francesco Graziolo di Asolo e Bartolomeo suo figlio:
“ ... Marcado fatto con M. Fransesco Gratioli tagliapietra da Asolo delli lavori che vanno nella fabrica del Monastero di San Theonisto, et primo: Le piane delle fenestre larghe piede 1 et grosse once 4 alla misura trevisana a soldi 2 il piè con un intavolato sopra: le quali essendo circa n. 80 et lunghe circa piedi 3 ½ manterranno soldi 7 l’una in tutto            L. 28
Base della colonna                                                                                                           L. 4
Capitello                                                                                                                        L. 4
Base della pilastrata                                                                                                        L. 4
Imposta del pilastro                                                                                                         L. 6
Controimposta                                                                                                                L. 2
Architrave della colonna    L.3
Cornise della istessa                                                                                                        L. 7
In tutto per ciascuna colonna                                                                                             L. 30
Le quali essendo colonne n. 36 vogliono L. 1080
Ma bisogna scemare (?) m. 4 per le quattro che vanno negli angoli, nelle quali entra minor lavoro, onde resta                L. 1052
Cornise fra le colonne grosse oncie 5 larghe oncie 12 nella quale va inconata la gorna a soldi 8 il pie in tutto piedi 160 L. 64
Gola dell’architrave fra le colonne piedi n. 180 va grossa oncie 3 a soldi 4 il piede    L. 36
Porte principali del chiostro n. 4 per ciascuna secondo la sagoma L. 20 in tutto                        L. 80
Banchete o lastoline fra i pilastri nel chiostro n. 36 a soldi 12 l’una con lavoro del bastone, et d’un gradeto sotto in tutto           L. 21,12
                                      Vale in tutto                                                                             L. 1281:12
Con patto che, aggiungendosi qualche cosa si debba crescer la mercede, et anche quando si scemerà qualche cosa di lavoro si debba scemare la mercede.
Annotando che le piane et le lastoline si intende fatto il mercato essendo elle segate: perchè quando non fossero segate, et spianate vi anderia maggior spesa assai nel lavorarle.”
          E poi viene trascritta l’intera fornitura dei materiali, dalla pietra grezza proveniente dalle cave vicentine, e fatte transitare per il territorio padovano, al legname acquistato direttamente in Cadore per un totale di 200 ducati.
I lavori si protrassero fino al 1576, ma solo dieci anni dopo si poté considerare conclusa la causa per il pagamento dell’intero ammontare dei lavori svolti.
Spesso ci si dimentica che dietro agli edifici che oggi ammiriamo ci sono delle storie, degli uomini sconosciuti che con sapiente maestria sono riusciti a costruire opere che sono durate nel tempo. A volte si tratta di vite semplici, degli invisibili ma assai più spesso a costruire gli edifici erano persone che avevano una certa importanza e considerazione nella società, tant’è che venivano citati nei documenti notarili. È solo che si è persa la memoria di queste persone che con un po’ di pazienza e passione potrebbero rivivere assieme alla loro maestria nell’apparecchiare una muratura, nel costruire porte, finestre e solai o nell’intagliare cornici in pietra di porte e finestre o delle scale.

Silvia Rizzato




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